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F.A.Q. Condominio, Domande e Risposte frequenti sull'Amministrazione Condominiale




Gazebo libero sul terrazzo? Pergotende e tettoie rimuovibili, cosa sapere?
Tribunale di Roma sentenza del 4 gennaio 2013 n. 65/2013 In ambito condominiale, il gazebo realizzato sul terrazzo di un appartamento senza l’osservanza della normativa in materia di distanze o vedute deve ritenersi legittimo qualora l’uso del bene comune sia avvenuto nel rispetto dei limiti di cui all’articolo 1102 del codice civile. I fatti. Il proprietario dell’appartamento pos to al primo piano dello stabile condominiale costruiva nel proprio terrazzo un gazebo che giungeva a pochi centimetri dal piano di calpestio del balcone soprastante. La parte attrice, proprietaria dell’appartamento sito al secondo piano dell’edificio, sosteneva che l’opera ledeva il suo diritto di veduta, la sua sicurezza (minacciata da terzi malintenzionati che potevano più facilmente entrare nel suo appartamento agevolati dalla presenza del gazebo), nonché la salubrità dei luoghi dal momento che la copertura si era trasformata in un ricettacolo di fogliame e di escrementi di uccelli. Conseguentemente domandava la condanna della parte convenuta alla rimozione della copertura, alla riduzione in pristino dei luoghi, come pure al risarcimento dei danni. La decisione. Il Tribunale di Roma, citando un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, ricorda che le norme in materia di distanze (artt. 873 ss. cod. civ.) e vedute (artt. 900 ss. cod. civ.) sono applicabili in ambito condominiale qualora ne risulti la compatibilità con la disciplina prevista per le cose comuni; in caso contrario, debbono considerarsi prevalenti le disposizioni ex articolo 1102 cod. civ. (Cass. Civ. n. 22092/2011). Il condominio degli edifici, difatti, è contrassegnato dalla coesistenza “di una comunione forzosa con proprietà esclusive” e questo comporta la necessità di ricercare un bilanciamento tra le differenti esigenze ed i molteplici interessi di tutti i condomini. Per questo motivo, ha ribadito la Suprema Corte che nel caso in cui la controversia riguardi rapporti di natura condominiale “trova applicazione esclusiva la normativa in tema di condominio degli edifici rispetto a quella che, nell’ambito dei rapporti di vicinato stabilisce le limitazioni legali fra proprietà confinanti che siano imposte con carattere di reciprocità indipendentemente dalla verifica di un pregiudizio derivante dalla loro inosservanza” (Cass. Civ. n. 7044/2004). I limiti da rispettare. L’articolo 1102 cod. civ. specifica le condizioni in presenza delle quali è possibile considerare lecita la condotta del partecipante alla comunione; il limite dell’estensione del diritto di ciascun comunista deve essere rinvenuto nel consentire il pari uso della cosa da parte degli altri partecipanti, senza alcuna alterazione della cosa stessa. In definitiva, laddove il giudice verifichi che l’impiego del bene comune si sia verificato nel pieno rispetto dei limiti statuiti dall’articolo 1102 cod. civ., l’opera deve ritenersi legittima seppur realizzata senza l’osservanza delle disposizioni previste in materia di luci e vedute. Così disponendo, il Tribunale di Roma ha respinto la domanda di rimozione della copertura di un terrazzo costruita dal condomino del primo piano, presentata dell’inquilino del piano superiore.


Il regolamento condominale può vietare l'apertura di asili nido nello stabile?
Un condominio può chiedere al Comune la revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività di asilo nido, svolta nei locali dello stabile condominiale, perché tale attività è in contrasto con il regolamento condominiale? Il caso. Un condominio ha chiesto al Comune la revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività di asilo nido svolta nei locali dello stabile condominiale, rilasciata ad una società conduttrice del locale, assumendo il contrasto tra l'attività di asilo nido e l'art. 15 del regolamento condominiale, come accertato dal Tribunale Civile a conclusione di un giudizio tra il condominio e la proprietaria (un'altra società) del locale locato. Il Comune, con determina del Dirigente dei Servizi Educativi, Scolastici e Culturali del 2 dicembre 2012, disponeva l'archiviazione dell'istanza di revoca sulle considerazioni che la sentenza del Tribunale Civile non era definitiva, pendendo appello; che essa riguardava diritti di natura privatistica; che l'autorizzazione era rilasciata salvi i diritti dei terzi; che la revoca può essere disposta solo in presenza di fatti ostativi certi e definitivi. Il condominio, quindi, impugnato avanti al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, determina dirigenziale. La pronuncia di primo grado. Secondo il TAR, la circostanza sopravvenuta - nella specie "accertamento giudiziale dell'incompatibilità dello svolgimento dell'attività di asilo nido con l'assetto regolamentare del condominio" - incidendo sul requisito della disponibilità ed idoneità dell'immobile utilizzato per l'attività, risolvendosi nella mancanza di un fattore strumentale all'attività - imponeva al Comune di tenerne conto nell'esercizio del potere di autotutela sollecitato dal Condominio, non rilevando in contrario né la circostanza che la sentenza del Tribunale Civile […] che aveva accertato l'illegittimità dell'attività di asilo nido con le norme del regolamento condominiale, fosse stata resa tra soggetti terzi rispetto alla società che gestisce l'asilo, né che la sentenza del Tribunale civile non costituisse giudicato, essendo pur sempre esecutiva". Infatti, è venuta meno la possibilità giuridica di esercitare al suo interno l'attività di asilo nido; che non potrebbe aversi riguardo esclusivamente al titolo civilistico che determina la disponibilità dell'immobile in capo alla società, omettendo di tributare la dovuta considerazione all'intervenuta preclusione, per effetto di una sentenza che, ancorché, non definitiva è immediatamente esecutiva, allo svolgimento all'interno di tale immobile di un'attività qualificata come contraria alle regole condominiali. Contro tale sentenza è stato, quindi, proposto appello. La sentenza del Consiglio di Stato. Il Consiglio di Stato ha respinto l'appello e confermato la sentenza di primo grado perché "la circostanza che la situazione controversa coinvolga rapporti di diritto privato, che dovrebbero trovare soluzione nella sede civile, non esclude che possa e debba trovare componimento in sede amministrativa e nell'ambito del procedimento amministrativo, che per come disciplinato dalla normativa vigente, attraverso il contraddittorio tra le parti interessate e l'acquisizione di tutti gli elementi rilevanti alla decisione finale, è volto a prevenire, per quanto possibile, le controversie tra privati. Ove la fattispecie venga inquadrata, quindi, nel più ampio contesto socio - economico, caratterizzato dalla compresenza di una pluralità di interessi e diritti facenti capo a soggetti diversi ed operanti su diversi piani, la circostanza che dal punto di vista meramente pubblicistico un'attività sia consentita, non esclude che all'esercizio ostino ragioni operanti sul diverso piano dei rapporti tra privati e che l'amministrazione nell'esercizio del potere decisionale non debba tenere debito conto di esse. (Questo condominio non è una pensione.) In tale ottica, non assume carattere assorbente: né la presenza di tutti i requisiti di ordine soggettivo e oggettivo previsti dalla normativa di settore per l'esercizio dell'attività di asilo nido, né che l'immobile abbia la destinazione d'uso per l'esercizio dell'attività di asilo nido, né che l'immobile sia idoneo all'attività dal punto di vista strutturale e igienico - sanitario. Infatti, ciò che è rilevante "è la tutela dei diritti dei terzi, cui sono sempre subordinati gli atti di assenso dell'amministrazione all'esercizio di attività regolamentate, che come detto, non si risolve nella clausola "con salvezza dei diritti dei terzi" che chiude il provvedimento amministrativo, richiedendosi all'amministrazione una più accurata verifica della sussistenza di tali diritti, perlomeno, allorché ne acquisisca la conoscenza, perché fatti valere proprio dai titolari dei diritti. La insufficiente e inadeguata valutazione di tutti gli elementi suddetti evidenzia l'illegittimità del provvedimento di archiviazione oggetto di impugnazione" Tale clausola, infatti, non esclude che già in sede di procedimento amministrativo debba aversi riguardo alle situazioni di contrasto tra privati e ove possibile consentire accomodamenti e soluzioni, ove gli interessi privati contrapposti vengano in rilievo e siano portati a conoscenza dell'amministrazione. Conclusione. Se il regolamento condominiale non consente l'attivazione di asili nido negli immobili condominiali e nell'autorizzazione rilasciata dal comune è stata riportata la clausola "fatti salvi i diritti di terzi", l'efficacia del provvedimento autorizzatorio dovrebbe venir meno dopo l'accertamento del giudice civile dell'incompatibilità di tale attività con il regolamento. Fonte http://www.condominioweb.com/asili-nido-in-condominio.11544#ixzz3mMXYiv7i www.condominioweb.com


Il regolamento condominiale non è carico del costruttore-venditore. Chi lo deve fare e stilare?
L'art. 1138 cod. civ. si limita a stabilire che la formazione del regolamento, per disciplinare l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, è obbligatoria quando il numero dei condomini è superiore a dieci, ma non pone affatto l'obbligo della sua redazione a carico del venditore delle singole unità abitative di cui è composto il condominio, che sia anche costruttore dello stabile. La conclusione che un tale obbligo ricada su quest'ultimo e non, come invece appare logicamente implicito nella norma, a carico dei singoli condomini, costituisce, pertanto, un palese errore di interpretazione ed applicazione del dettato normativo, del tutto priva di fondamento giuridico.


Il regolamento dev'essere rispettato da tutti, anche dal costruttore?
Il regolamento di condominio, al pari di qualunque delibera assembleare, dev'essere approvato per forma scritta e le modifiche al medesimo, dovendo essere adottate sempre dall'assemblea, non possono non avere la medesima forma. Ciò vale ancor di più per il regolamento di natura contrattuale posto che con il medesimo si impongono limiti, se non addirittura vere e proprie servitù, ai diritti dei singoli. In questo contesto anche il costruttore, al pari di qualunque condomino, deve rispettare il regolamento anche se da lui stesso redatto. Questa, in sintesi, il contenuto della sentenza n. 2668 resa dalla Corte di Cassazione lo scorso 5 febbraio. Nel caso sottoposto all'attenzione degli ermellini e prima ancora dei giudici di merito, un condominio aveva promosso un'azione legale contro un condomino (il costruttore) proprietario di un'unità immobiliare a piano terreno, reo, secondo la compagine, di aver trasformato i locali destinati ad autorimessa in scuola, prima, e casa di riposo, dopo. Il tutto, si legge nella ricostruzione dei fatti, contenuta in sentenza, contro le disposizioni del regolamento condominiale. Il costruttore obiettava che lui, in quanto redattore del regolamento, non doveva rispettare poiché lo stesso era rivolto solo ai condomini (sic!) e che comunque doveva considerarsi raggiunta un'intesa tacita che doveva essere considerata alla stregua di una modificazione verbale del regolamento medesimo. Persa la causa in primo e secondo grado il condomino-costruttore si rivolge alla Cassazione, che gli da torto. Nella sentenza non viene dedicato molto spazio allo stravagante motivo dell'esonero dal rispetto del regolamento; la Corte si limita a specificare che è infondato. Più articolata la motivazione riguardante la forma che dev'essere assunta dalle modificazioni alle clausole regolamentari. Si legge in sentenza che "la formazione del regolamento condominiale è soggetta al requisito della forma scritta ad substantiam, desumendosi la prescrizione di tale requisito formale, sia dalla circostanza che l'art. 1138 c.c., u.c. prevedeva (nel vigore dell'ordinamento corporativo) la trascrizione del regolamento nel registro già prescritto dall'art. 71 disp. att. cod. civ., sia dalla circostanza che, quanto alle clausole del regolamento che abbiano natura soltanto regolamentare (e siano perciò adottabili a maggioranza), trova applicazione l'art. 1136 cod. civ., comma 7 che prescrive la trascrizione delle deliberazioni in apposito registro tenuto dall'amministratore (onde anche la deliberazione di approvazione di tale regolamento per poter essere trascritta deve essere redatta per iscritto), mentre, quanto alle clausole del regolamento che abbiano natura contrattuale, l'esigenza della forma scritta è imposta dalla circostanza che esse incidono, costituendo oneri reali o servitù, sui diritti immobiliari dei condomini sulle loro proprietà esclusive o sulle parti comuni oppure attribuiscono a taluni condomini diritti di quella natura maggiori di quelli degli altri condomini. In questo contesto di carattere generale, prosegue la Cassazione, "ne discende che il requisito della forma scritta ad substantiam (che non può intendersi, d'altro canto, stabilito ad probationem, poichè quando sia necessaria la forma scritta, la scrittura costituisce elemento essenziale per la validità dell'atto, in difetto di disposizione che ne preveda la rilevanza solo sul piano probatorio) deve reputarsi necessario anche per le modificazioni del regolamento di condominio, perchè esse, in quanto sostitutive delle clausole originarie del regolamento, non possono non avere i medesimi requisiti delle clausole sostituite, dovendosi, conseguentemente, escludere la possibilità di una modifica per il tramite di comportamenti concludenti dei condomini (così Cass. Sez. Un. n. 943/1999: sulla base di tali principi le Sezioni Unite hanno cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva ritenuto modificata una clausola di natura contrattuale di un re golamento condominiale, vietante la sosta dei veicoli nel cortile comune, per effetto del comportamento di costante esecuzione di u na delibera modificativa adottata invalidamente a maggioranza e non all'unanimità, come esigeva quella natura; a tale pronunzia adde, più di recente: Cass. Sez. 2 n. 17694/2007; Cass. Sez. 2, n. 24146/2004; Cass. Sez. 2, 5626/2002)" (Cass. 5 febbraio 2013 n. 2668).


Il regolamento di condominio non può imporre una servitù di uso esclusivo sul cortile comune?
Il cortile comune di un edificio in condominio non può essere gravato da una servitù d’uso esclusivo, prevista dal regolamento di condominio, a favore del proprietario dell’unità immobiliare posta al pian terreno. Non può essere per la funzione del regolamento e perché la servitù prevede un’utilitas strettamente connessa al beneficio per il fondo dominante e non alla persone del suo proprietario. Il fatto che, poi, l’esercizio spetti a quest’ultimo è cosa naturale: il fondo non vive di vita propria. Questa, in sostanza, la decisione cui è giunta la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 6582 dello scorso 27 aprile. Si legge nella pronuncia che “ deve escludersi che un regolamento di condominio, per sua natura finalizzato a disciplinare l'uso dei beni comuni da parte dei condomini, possa costituire un diritto di servitù su di un bene comune in favore di un bene di proprietà esclusiva di uno dei condomini; se invero il regolamento di condominio, nel disciplinare l'utilizzazione delle cose comuni, può limitare il godimento su di esse da parte di uno o più condomini, non può peraltro restringere tale uso fino a svuotarlo di qualsiasi contenuto, come appunto pretenderebbe nella fattispecie il ricorrente con riferimento all'area cortilizia in questione; tale conclusione è confermata dal rilievo che l'invocato diritto di servitù d'uso a carico della corte comune ed in favore dell'appartamento al piano terreno del fabbricato (consistente nel divieto imposto agli altri condomini dell'uso del cortile antistante l'appartamento al piano terreno, uso riservato in via esclusiva al proprietario di tale immobile) comporterebbe inammissibilmente non già un semplice peso imposto al fondo servente (art. 1027 c.c.), ma un totale annullamento di ogni facoltà di suo godimento da parte del (…) e della (…) , che pure ne sono comproprietari. Del resto la possibilità di configurare l'uso esclusivo su di un bene comune da parte di un condomino proprietario di una unità immobiliare come una servitù comporta la necessità di accertare la sussistenza della "utilitas" di cui all'art. 1027 c.c., ovvero di un vantaggio diretto ed oggettivo del fondo dominante, a prescindere quindi dal fatto che tale diritto possa giovare al proprietario di tale fondo, posto che l’”utilitas" non deve riguardare l'attività che si svolge sul fondo, ma deve ricollegarsi alla utilizzazione del fondo stesso; in proposito peraltro il ricorrente non ha svolto alcuna apprezzabile deduzione” (Cass. 27 aprile 2012 n. 6582). Insomma per quanto l’uso esclusivo di un bene comune non sia di per sé vietabile ed anzi, i regolamenti (contrattuali) e gli atti d’acquisto possono legittimamente contenerli, per ciò che riguarda la servitù il discorso è più complesso: questo diritto reale su cosa altrui ha requisiti ben precisi e per istituirlo non basta imporlo ma è necessario che ricorrano le condizioni previste dalla legge. L’utilitas è uno di questi. Fonte http://www.condominioweb.com/il-cortile-comune-di-un-edificio-in-condominio-non-puo-essere-gravato.993#ixzz3mMcSkOqt www.condominioweb.com



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